SEMBRA UN FILM HORROR
Qualche giorno dopo, la situazione era diventata davvero caotica. Nelle zone già colpite dall’epidemia non si riusciva ad avere un conteggio esatto dei morti. Aumentavano ogni giorno e non c’era modo di evitarlo. L’infezione era arrivata fino in Germania e in Austria. Da quando ha cominciato a diffondersi, scienziati e medici di tutto il mondo lavoravano costantemente per cercare di creare un vaccino. Gli stessi scienziati che ci lavoravano in Somalia (avevo riconosciuto qualcuno dei loro nomi alla televisione) non sapevano che fare. Mutava con troppa velocità e tutti i vaccini creati fino a quel momento diventavano inutili dopo poco. Elena e i suoi erano riusciti a tornare a casa alla fine. Io e lei cercavamo di sentirci più spesso possibile, ma non era semplice. Anche mio fratello cercava di rimanere in contatto con Laura e riscontrava i miei stessi problemi.
Le linee telefoniche non funzionavano quasi mai e ne risentivano anche quelle internet. Dissi a mio fratello che dovevamo contattare più gente possibile. Avevo in mente di fare una specie di riunione per decidere cosa fare nel caso in cui le cose precipitassero. Chiamai solo quelli che non abitavano in città. Per dirlo agli altri sarei passato di persona. Controllai l’ora per decidere chi chiamare per primo. Erano le 17 del 26 giugno, se non ricordo male. Decisi di chiamare Alberto. Gli esposi il mio progetto per la riunione, e lui mi rispose che mi avrebbe fatto risapere. Prima di riagganciare gli chiesi di contattare anche Roberto. Cominciava ad essere tardi, ma avevo ancora molte persone da contattare. Chiamai gli altri miei amici, Gabriele, Lorenzo, Alessio, Amedeo, Simone, un altro Lorenzo e un altro Gabriele. Un altro, Marco, abitava a non più di 500 metri da me. Ci sarei passato domani. Ma non erano finiti. Ebbi un attimo di indecisione. Fra quelli che volevo chiamare c’era anche gente con cui non avevo proprio un buon rapporto. Con alcuni di loro arrivai anche a litigare. Non sapevo che fare. Ci avrei pensato poi. Ricontrollai l’ora. Erano le sette passate. Uscii a fare un giro prima di cena. La città sembrava morta. Era molto più silenziosa rispetto a qualche tempo prima, e la cosa mi spaventò un po’. La calma prima della tempesta, pensai.
Mi diressi verso Piazza Matteotti. Di solito molto popolata verso quell’ora, era incredibilmente vuota. C’era solo una donna con due buste della spesa che probabilmente tornava a casa. Visto che ero lì vicino, passai al tabacchino all’incrocio tra il corso principale e la via che esce dalla piazza. Prima di entrare, controllai dalla porta quanta gente c’era. Vuoto. Meglio così. Presi il tabacco, le cartine, i filtri e un pacchetto di sigarette per mio fratello e uno per mio padre. Una volta uscito, notai che c’era un sacco di gente attorno al bar del cinema. Andai in quella direzione. Se non altro c’era qualcuno oltre me fuori. Sentivo i loro chiacchiericci, ma erano troppo fitti per riuscire a distinguere qualche parola. In mezzo a quella folla, riuscii a scorgere Leonardo, un ragazzo che avevo conosciuto un paio d’anni prima. Ci salutammo e gli chiesi che stava succedendo. Mi indicò la televisione del bar, invitandomi a guardarla. Passavano il solito programma solo musica, ma sotto c’era una striscia scorrevole con le notizie. La prima che passò recitava più o meno così: “Aggiornamento Somalia: l’esercito schierato per fermare le rivolte. I morti continuano a rianimarsi. Situazioni analoghe negli altri paesi del blocco africano e del Medio Oriente.”
Ne discussi con Leonardo. Anche secondo lui il video che avevano mandato sabato alla televisione era un falso e queste notizie parevano fantasie. Non mi sbilanciai. In effetti era abbastanza irreale che i morti si rianimassero. Erano scene degne solo dei grandi film horror, ma nulla più. Quanto mi sbagliavo.
Quando rientrai a casa, i miei erano già a tavola e mi stavano aspettando. Guardammo il notiziario della sera. Era sempre stata una nostra abitudine, come quella di molte altre persone, ma in quel periodo si era molto accentuata, in funzione di quello che stava capitando. Non c’era niente di nuovo. Il virus continuava a diffondersi e le proteste dei cittadini di fronte all’impotenza dei governi aumentavano. Beh d’altronde cosa ci si poteva aspettare?
Il governo tedesco chiese di indire una nuova seduta dell’ONU per concordare nuove strategie volte a contenere la piaga. Secondo me, era una cosa inutile. Più che chiudere le frontiere e sopprimere tutti i canali di collegamento terrestri, aerei e marittimi con i paesi colpiti, cos’altro potevamo fare? Tagliare anche i collegamenti fra città e città? Confinare la gente nelle proprie case per non farla uscire mai? Uccidere chiunque starnutisse o tossisse?
Dopo cena, mi misi sul divano a guardare la tv fino a tardi. Spuntava il sole quando decisi di andare a dormire. Forse un buon riposo mi avrebbe aiutato a cancellare il pensiero di quello che stava accadendo.
Il giorno successivo mi alzai tardi. Era venerdì. Avevo il turno di notte quel giorno. Prima di tutto questo, lavoravo alla linea in una fabbrica che produceva oggetti di cristallo. Non era un lavoro che mi piacesse, ma era l’unico che avevo trovato. Quella mattina decisi di rompere la mia routine: di solito il primo pensiero era accendere la televisione e vedere se c’erano sviluppi. Per un giorno volli fregarmene. Misi la caffettiera sul fuoco e, mentre aspettavo, mi preparai un paio di sigarette. Ne accesi una e misi l’altra nel portasigarette. Prima di tornare in camera a vestirmi, aprii le finestre. Mi vestii e tornai in cucina a bere il caffé. Mentre lo bevevo pensai a cosa potevo fare in tutto il giorno. Non avevo molte possibilità. Quasi tutti i miei amici erano a lavoro o comunque non erano in casa. Ad un tratto sentii un boato che fece tremare i vetri. Lì per lì pensai ad un aereo a bassa quota. Era già successo. Andai comunque sul balcone per controllare. Vidi una colonna di fumo nero salire dall’altra parte della città. Beh, avevo trovato come occupare almeno le prossime due ore, dissi ironicamente. Finii di bere il mio caffé, presi le chiavi e uscii di casa. Mi diressi verso la colonna di fumo. Proveniva dalla zona del centro commerciale. Non fu facile arrivarci, c’erano macchine ovunque e la polizia cercava di deviare il traffico. Lasciai la macchina in un piccolo parcheggio e andai a piedi. Mi fermai vicino al camioncino di un rivenditore ambulante ad osservare la scena. C’era stato un incidente. Vidi un piccolo pulmino completamente accartocciato e un camion ribaltato che era finito fuori strada. Per fortuna non ha urtato l’edicola, pensai. Vidi sopraggiungere gli automezzi dei vigili del fuoco e le ambulanze. I pompieri erano impegnati sia a spegnere le fiamme sia a cercare di districare le lamiere dell’autobus per tirare fuori i passeggeri. La maggior parte ne uscì incolume. Poi cominciai veder tirare fuori i primi corpi. I paramedici si affrettarono a coprirli con dei teli. La situazione si stava pian piano stabilizzando. Il traffico aveva ripreso a scorrere normalmente e decisi quindi di tornarmene a casa. Arrivai che era ora di pranzo. Visto che i miei non erano ancora tornati da lavoro, cominciai a preparare da mangiare. Evitai di accendere la televisione come al mio solito. Fino ad allora ero riuscito a non pensarci ed era meglio così. La giornata passò relativamente tranquilla. Arrivata l’ora andai a lavoro, rientrando a casa verso le quattro e mezza di notte. Ebbi appena la forza di andare al letto. Un paio di giorni dopo, si parlava ancora di quel tragico incidente. Era una notizia che passava in secondo piano rispetto all’epidemia, ma ugualmente grave. Era comunque morta gente e continuava a morirne. L’autobus trasportava 42 persone. Erano quasi tutti turisti. C’erano anche dei bambini. Subito dopo l’incidente, il conteggio arrivava a 14 morti e 27 feriti. L’autista dell’autobus era morto sul colpo. Quello del camion era in terapia intensiva. Si era rotto un paio di costole picchiando contro lo sterzo, tanto fu violento l’urto. Una delle costole aveva forato un polmone. Salvo per miracolo. Non riuscivo a non fregarmene di quello stramaledetto virus e ricominciai a seguire le trasmissioni a proposito. La situazione era sempre preoccupante, ma sembrava sotto controllo.
Stando a quanto veniva riferito, non erano stati segnalati nuovi casi in Europa. Per un qualche motivo, l’epidemia non usciva dai confini austro-tedeschi. Sentivo un insieme di sentimenti. Dolore per quei paesi che erano stati colpiti e per le famiglie dei malati. Sollievo, perché da noi non era arrivata. Rabbia, come la maggior parte delle popolazioni, per l’impotenza dei governi.
Per il momento però l’Italia era al sicuro. Ma continuavo a pensare a quell’autobus. Tutti quelli a bordo, tranne l’autista, erano stranieri. Come diavolo erano riusciti ad arrivare qui? Le frontiere erano chiuse e sorvegliate dall’esercito. Il traffico aereo e quello marittimo erano stati ridotti al minimo indispensabile. L’unica spiegazione che riuscii a darmi in quel momento era che magari quel tour durava già da tempo. Forse era uno di quei tour di due settimane in giro per la Toscana, ma non ne ero sicuro. Continuava a sembrarmi strano. All’improvviso mi ricordai che avevo ancora della gente da chiamare per quella riunione e che dovevo ancora passare da Marco. Mi vestii in fretta e mentre mi dirigevo verso casa di Marco, chiamai anche Simone per esporgli il progetto. Anche lui mi diede una risposta vaga. Cos’altro potevo aspettarmi? L’avrei data anche io. Quando arrivai da Marco, lo trovai nel garage. Lo invitai a sospendere il lavoro per una mezz’ora e ad andare a bere qualcosa. Dissi anche a lui della riunione e, sorprendentemente, accettò subito. Per quanto mi fosse apparso strano, era meglio così. Una persona in più su cui contare sicuramente. Pensai anche a Stefano. Come militare in una città sotto legge marziale, non poteva avere chissà quanto tempo libero. Ma feci un tentativo. Andai al QG e chiesi di lui. Non vollero rispondermi. Al diavolo anche loro. Dovevo agire col vecchio metodo: girare a caso sperando d’incontrarlo. Non ebbi la stessa fortuna della prima volta e me ne tornai a casa. Ero stanco, ma non fisicamente. Prima di andarmene a dormire quella notte, feci un appunto su un post-it e lo attaccai allo schermo del pc. RIUNIONE FISSATA PER IL 11 LUGLIO. CHIEDERE CONFERME. Era più o meno fine giugno del 2021.
Autore: Alessio Canosa
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