TERRIFICANTI NOVITÀ
Passarono circa un tre mesi, da quel giorno. Tutti si erano ormai abituati a vedere le pattuglie armate girare per le strade. Visto che cominciava l’estate, decisi di prendermi una breve vacanza. Mi recai in Comune, per chiedere i documenti d’autorizzazione a lasciare la città. Tutte le partenze per posti fuori provincia dovevano essere comunicate al Comando Militare, per far sì che si sapesse dove eravamo. Chiamai la mia ragazza per dirglielo. Era furiosa, a ragion del fatto che non mi facevo sentire da una settimana buona, ma si calmò dopo che le dissi della vacanza che avevo progettato. Concordai con lei che sarei passato sabato mattina presto e ci salutammo. Avrebbe fatto bene a tutti qualche giorno di riposo. Andai a ritirare i permessi dopo un paio di giorni. Li presi per la mia famiglia e per quelle della mia ragazza e della ragazza di mio fratello.
Sabato mattina mi alzai presto. Erano le sei e mezza del mattino. Dovevo prepararmi prima di andare a prendere la mia ragazza. Preparai la caffettiera e nell’attesa che il caffé fosse pronto, accesi la televisione. Iniziava la prima edizione del telegiornale. Si apprese che l’epidemia si stava avvicinando all’Est Europa. E ci furono anche i primi problemi in Italia. A sud, nell’isola di Lampedusa, era arrivato un barcone qualche giorno prima. La guardia costiera andò a recuperarlo e tutti i migranti furono portati nel centro d’accoglienza dell’isola. Il giorno dopo alcuni di loro furono portati in altri centri d’accoglienza nel paese. Durante il trasferimento, tre immigrati scapparono. Erano somali. E se fossero infetti? Se portassero l’epidemia qui? Il pensiero mi sfiorò la mente, facendomi rabbrividire. La polizia aveva cominciato le ricerche dei fuggiaschi, ma per il momento non c’erano piste sulla direzione che potevano aver preso. La giornalista aggiunse che in Somalia erano cominciati diversi disordini dovuti all’insufficienza delle strutture ospedaliere del paese. Molti pazienti se n’erano andati. E poi ci fu la notizia più sconvolgente: alcuni dei pazienti, dichiarati deceduti, avevano ripreso a vivere e attaccavano il personale. Rimasi impietrito davanti alla televisione, mentre passavano delle immagini girate probabilmente con un telefonino. Ero talmente immerso nella visione di quelle immagini che non mi accorsi nemmeno che la caffettiera aveva cominciato a traboccare. Mi risvegliò solo il forte fischio lanciato dal vapore. Pulii tutto e mi versai il caffé nella tazza. Nel frattempo anche mio fratello s’era svegliato e mi aveva raggiunto. Mi chiese che stava succedendo. Gli dissi semplicemente <<Guarda la tv.>>
Continuarono a passare le immagini. Era raccapricciante. Quei cosi stavano scatenando un putiferio. Un’infermiera era riversa a terra e due di quelle cose la stavano sventrando. In sottofondo si sentivano spari ed urla. Quell’accozzaglia di uomini armati, che penso dovessero essere la polizia, sparavano cercando di fermarli, ma i cadaveri rianimati non cadevano. Il filmato si concludeva bruscamente. Secondo quanto riferito c’erano incidenti del genere in tutto il paese. C’era da pensare che sarebbe successo anche nelle altre zone colpite. Erano scene da film horror, degni delle migliori sale cinematografiche. Ma non c’era finzione, era tutto vero. Ma perché non era successo prima? Perché solo ora? Poi ripensai ai roghi di corpi, e trovai la risposta alla mia domanda. Ero partito con l’idea di non pensare più a queste cose, e quel servizio aveva rovinato tutto. Andai a prendere Elena e durante il tragitto ne parlai con lei. Non disse nulla. Quando ci fermammo ad un bar per mangiare qualcosa, chiamai alcuni dei miei amici per sentire i loro pareri. Secondo alcuni il filmato era un falso, altri non sapevano che pensare. Gran brutta situazione.
In quei due giorni, non seguii più gli sviluppi della situazione. Accompagnammo Laura (la ragazza di mio fratello) e i suoi genitori a casa. Li salutammo e poi ci dirigemmo verso casa nostra. Quando rientrai, tutti i pensieri accantonati tornarono alla mente. Accesi la tv nella speranza di scoprire qualcosa di più. E lo scoprii. La situazione era molto peggiorata. La Somalia era in preda al caos, l’Africa e il Medio Oriente vi stavano velocemente precipitando. Si verificavano i primi contagi anche nell’est Europa e nell’Asia meridionale. C’era stata una riunione d’emergenze del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per discutere di quest’epidemia. I capi di Stato di quasi tutti i paesi dichiararono falso il video trasmesso alla televisione, liquidandolo come uno scherzo di cattivo gusto. Il Segretario Generale fu d’accordo su questo punto. Continuarono dicendo che, in via cautelare, era meglio troncare tutti i contatti fra paese e paese finché non se ne fosse saputo di più. Appresi inoltre che anche in altri paesi era in vigore la legge marziale e il caos regnava ovunque. La gente spaventata aveva preso d’assalto le farmacie e chiedeva al governo di adottare misure per prevenire il dilagarsi della malattia. Ormai siamo alla fine, pensai. La gente è nel panico, i governi non sanno comportarsi e il potere è passato in mano ai militari. Dove andremo a finire?
Era quasi mezzogiorno. Invitai Elena e i suoi a restare a pranzo. Io e mio fratello andammo a fare la spesa nel frattempo che a casa preparassero la tavola. Arrivati nei pressi del supermercato, trovammo una lunga fila di veicoli in uscita. Non mi stupii. Il lunedì è quasi sempre così. Quando entrammo, rimasi sgomento. Gli scaffali erano quasi tutti vuoti e la gente si accingeva a svuotare quelli in cui c’era rimasto qualcosa. Ci dividemmo. Dissi a mio fratello di prendere tutto quello che riusciva a trovare e di aspettarmi. Dovevo prelevare altro contante. Quando ebbi finito il prelievo lo raggiunsi. Mio fratello era accerchiato da quattro persone che tentavano di prendere quello che era riuscito a recuperare dagli scaffali. Non ci pensai due volte. Presi uno dei cestini di plastica vicino all’uscita e lo scagliai con violenza sulla schiena del primo che mi trovai davanti. Accortosi che ero arrivato, Domenico aveva cominciato a reagire, riuscendo a stenderne un altro. Gli ultimi due, vista la mala parata, se ne andarono.
<<Tutto bene, Domi?>>
<<Sì. Quegli animali mi avrebbero linciato.>>
<<Dai andiamocene>> dissi.
Ci dirigemmo verso le casse e sorprendentemente ci accorgemmo che non c’era nessuno. Tutti i commessi erano a cercare di fermare gli sciacalli che stavano mettendo letteralmente a soqquadro tutto. Era furto, ma in quel momento volevo solo allontanarmi da lì. Gli schiamazzi erano così forti che nessuno fece caso all’allarme della cassa. Ci dirigemmo di corsa verso la macchina, caricammo tutto e ce ne andammo.
Rientrammo fortunosamente a casa. C’erano posti di blocco ovunque. L’esercito cercava di contenere quella follia, ma non stava ottenendo molti risultati.
Scaricammo la macchina in fretta e con altrettanta velocità risalimmo le case fino alla porta.
Appena entrati, ci vennero tutti incontro. Elena mi saltò al collo, mentre gli altri mi guardavano preoccupati. Ci chiesero cosa era successo. Gli raccontammo tutto per filo e per segno. Non potevano crederci. Dissi alla mia ragazza e ai suoi che per quel giorno sarebbe stato meglio che fossero rimasti da noi. Acconsentirono, rendendosi conto della gravità della situazione
Sentimmo sirene, allarmi e urla quella mattina. Ci furono scontri anche piuttosto feroci fra la gente e i militari. Venni a sapere che in seguito a questi scontri, un militare era morto e un altro era ferito gravemente. Si contavano 57 morti fra la popolazione. Fortunatamente, nessuno che conoscessi. L’esercito, resosi conto che non poteva fermare questo scempio, aveva aperto il fuoco contro la gente. Si cominciavano a vedere i primi effetti della legge militare applicata ai civili. L’anarchia regnava sovrana in città. Erano tutti in preda al panico e nessuno sapeva come fare a contenerlo.
Facemmo l’inventario di quello che avevamo preso. C’erano molte scatole di pasta di diversi tipi e diverse marche, pane, roba in scatola, condimenti, quattro bottiglie di vino, due pacchi d’acqua, una forma di pecorino e salumi vari. Non un grandissimo bottino.
Autore: Alessio Canosa
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