mercoledì 13 novembre 2013

Sono solo. Completamente solo. (2)

SEGRETI CONDIVISI

Mi svegliai tardi il giorno dopo, era passato mezzogiorno. Andai in sala da pranzo e accesi la televisione. Non si parlava d’altro ormai. Il numero dei contagiati continuava a salire. Ma c’era di più: si cominciavano ad avere focolai anche in altri paesi. Libia, Egitto, Arabia Saudita, Israele,Palestina…in tutto il mondo arabo si verificavano casi simili a quelli della Somalia. Si vedevano le immagini di grandi roghi di corpi. Nessuno poteva crederci, ma stava accadendo. Mi misi a tavola e mangiai. Appena finii, cominciai a prepararmi per recarmi alla riunione. Scesi a mettere in moto la macchina in attesa che mio fratello finisse di prepararsi. Aveva un anno e mezzo meno di me. Somigliava molto a mio padre quando era giovane. Non dovetti attendere molto. Mi accesi una sigaretta e partimmo.


Arrivammo in poco tempo. Mentre parcheggiavo, dissi a mio fratello d’andare a prendere un paio di posti. Lo raggiunsi nella parte dove c’erano i campi da calcio. Il palco era stato montato nella pista di pattinaggio e le autorità erano già presenti. Vidi anche molti soldati, tra cui l’ufficiale che mi fermò il giorno prima per chiedermi informazioni. Mentre  aspettavamo, diedi un’occhiata in giro. Trovai molti miei amici e amici dei miei. Provai a fare qualche domanda in giro, ma nessuno sapeva perché eravamo lì. Provai anche a cercare la mia ragazza, Elena, o i suoi genitori, ma non li vidi. La chiamai al cellulare, ma non rispondeva. In mezzo a questo rumore magari non lo sente, pensai. Ad un certo punto il microfono sibillò e una voce annunciò che stava per prendere la parola il Sindaco. Mi ricongiunsi con mio fratello, che aveva rimediato un paio di posti in seconda fila. Finalmente la riunione cominciò. Il Sindaco disse che eravamo stati radunati qui per spiegarci il perché della presenza dell’Esercito in città e passò la parola all’ufficiale. Si qualificò come Maggiore Contini, del 186° Reggimento Paracadutisti “Folgore” di Siena. Disse che da quel giorno la città era sottoposta a legge marziale. Ci fù un attimo di smarrimento fra i presenti. Il maggiore continuò:
<<Da oggi entra in vigore il coprifuoco, che scatterà d’ora in poi alle 22. Chiunque sarà sorpreso dopo quell’ora in strada, sarà immediatamente arrestato. La città e i suoi abitanti sono, finché sarà necessario, sotto la tutela dell’Esercito Italiano. È tutto.>>
Altri parlarono dopo di lui, ma io non ascoltai. La legge marziale? Il coprifuoco? Dovevano essere tutti impazziti. Mi sentì urtare alla schiena e mi girai di scatto. Un uomo in uniforme mi guardò e si scusò. Lo riconobbi subito. Era Stefano, un mio carissimo amico che anni prima aveva fatto domanda e, a differenza mia, era stato preso. Ci salutammo e parlai con lui per un paio di minuti. Provai a chiedergli che cosa succedeva di preciso, e di colpo si irrigidì. <<Non posso dirti nulla. Mi spiace.>> fu la sua risposta.
Rimasi sempre più allibito. Io e Stefano ci conoscevamo da tanto tempo. Mi aveva confidato cose che non avrebbe mai detto a nessuno. Perché questo no? Ero arrivato pieno di dubbi e me ne andavo con ancora più dubbi. Cosa poteva esserci di tanto grave che costringesse l’Esercito ad adottare queste misure? Risalii in macchina con mio fratello. Durante il tragitto non parlammo. Quando arrivammo sotto casa, vedemmo una pattuglia percorrere la via in tenuta al completo. Ci guardarono, ma continuarono per la loro strada. Spensi la macchina e scesi. Prima di salire, io e mio fratello restammo a parlare per una decina di minuti.
Risalimmo in casa. I miei erano seduti sul divano e aspettavano il nostro ritorno. Gli spiegammo la situazione. Mio padre s’incazzò: <<Ci mancava solo questa. Ma che cazzo gli prende alla gente? Sono diventati tutti scemi?...>> e cominciò a inveire contro tutto e tutti. Era inutile cercare di calmarlo. Bisognava solo aspettare che si scaricasse. Io me ne andai in camera e così fece mio fratello. Mi stesi sul letto e continuai a pensare. Quale situazione poteva essere tanto grave da richiedere misure così drastiche? Capisco aver paura di un epidemia, ma mettere in quarantena intere città da un giorno all’altro è pura follia. Controllai l’ora. Erano circa le 6 e mezza. Fra tre ore e mezza sarebbe scattato il coprifuoco. Dovevo sfruttare questo lasso di tempo. Presi le chiavi e dissi ai miei che sarei tornato per cena. Forse dissero qualcosa, ma non li sentii. Cominciai a fare un giro per la città, in cerca di Stefano. Lo trovai vicino al centro, in Via Trento. Mi accostai a lui e gli chiesi se aveva un po’ di tempo libero per prendersi una birra. Ci pensò su un po’ e mi rispose di sì. Lo feci sedere e ci dirigemmo al Bar di Romituzzo. Prendemmo due birre e ci mettemmo seduti. Chiacchierammo del più e del meno per un po’. Alla fine mi decisi a cominciare il discorso. Era schivo, cercava di evitarlo. Non riuscendo a tirargli fuori una parola, cominciai ad urlare contro di lui per la rabbia. Ci fu un attimo di silenzio. Tutto il bar si era zittito. Stefano mi guardò e mi fece cenno di seguirlo. Tornammo alla macchina. <<Troviamo un posto più tranquillo>> mi disse.
Andammo in macchina fino a Montemorli, una piccola zona di campagna appena fuori città. Per tutto il viaggio, seppur breve, ci fu un silenzio tombale. Ci fermammo in cima alla salita, dove c’era un piccolo spiazzo in terra battuta. Scendemmo e ci andammo a sedere su una vecchia panca posta nell’ex area di tiro al piattello. Ricordo ogni parola di quella discussione.
<<Allora. Questo ti sembra abbastanza isolato come posto?>>
Si guardò intorno, controllando che non ci fosse nessuno. <<Sì, qui và bene.>>
<<Adesso avrai la cortesia di spiegarmi…>>
<<Ale, la situazione è molto grave. Hai sentito dell’epidemia immagino.>>
<<È ovvio>> risposi <<Lo sanno tutti.>>
<<Ma non tutti sanno com’è cominciata.>>
<<E tu invece? Lo sai?>>
<<Non proprio. Ma voglio raccontarti una storia.>>
Gli offrì una sigaretta. La rifiutò. <<Non fumo. Lo sai.>>
La accesi per me.
<<In Somalia sono scoppiate diverse rivolte. Dopo la partenza del contingente internazionale negli anni 90, la situazione non è cambiata. Ci sono sempre i signori della guerra. E adesso si sono aggiunti i pirati. Quelle che sto per dirti sono cose che non direbbero mai alla televisione, e le dico a te in via confidenziale, ma giurami che non le riferai a nessuno. Nemmeno alla tua famiglia.>>
<<Te lo giuro. Non dirò niente>>
<<Sarà meglio. Circa quattro anni fa, la NATO ha deciso di inviare un contingente armato in Somalia, per pacificare la regione. In quel contingente c’ero anche io. Ci dissero che avremmo dovuto semplicemente cercare di eliminare quanti più signori della guerra e pirati possibile, in modo da dare stabilità al paese. Non dovevamo farne parola con nessuno.>>
<<Che diavolo c’entra questo con…>>
<<Aspetta. Non mi interrompere e ti spiego tutto. Ci preparammo a partire. Poco prima della nostra partenza, si presentò in caserma un uomo, in abiti civili. Chiese dove fosse l’alloggio del comandante. L’ufficiale di picchetto chiese prima che si identificasse. Quest’uomo mostrò un distintivo, e l’ufficiale lo fece passare. Non riuscì a vedere che distintivo fosse. Mi chiesero di accompagnarlo dal comandante del reggimento. Lo feci e poi tornai alla mia squadra. Quando arrivammo all’aeroporto per prendere il volo, ci comunicarono un nuovo ordine:  una cellula terroristica mediorientale era entrata in possesso di un’arma batteriologica in via di sperimentazione. Si avvalevano della collaborazione di alcuni scienziati per metterla a punto. Tra di essi c’era un italiano. Dovevamo salvare gli scienziati e recuperare l’arma.>>
<<Anche su questo massimo riserbo, immagino.>>
<<Esatto. La settimana successiva, dopo aver allestito la base, cominciammo le ricerche. I primi risultati non portarono a niente. Poi facemmo il colpo grosso: durante una retata nel quartiere centrale di Mogadiscio catturammo il luogotenente di un signore della guerra che cominciò a parlare. Ci indico un edificio abbandonato fuori città in cui c’era molta attività, ma non seppe dirci altro. Mandammo una pattuglia in ricognizione, che confermò le sue parole. L’edificio era fin troppo attivo per essere abbandonato. La squadra riconobbe due degli scienziati che ci erano stati indicati: dottor Maximilian Dreiten e Leroy Melse. I capi della task force decisero che siccome eravamo stati noi italiani a localizzarli, ci saremmo dovuti occupare noi della questione. Due giorni dopo entrammo in azione: una piccola squadra del Nono Incursori si occupò dell’irruzione. Il mio plotone era di copertura. Ne uscirono dopo una decina di minuti. Il laboratorio era pulito e gli scienziati erano stati tutti tratti in salvo. Si decise di sigillare il laboratorio e attestarci a difesa finché non fosse arrivata la squadra addetta al recupero dell’arma. Finita l’azione tornammo alla base.>>
<<E poi?>>
<<E poi è successo che lo stesso uomo che si presentò in caserma arrivò lì. Chiese nuovamente di parlare col comandante. Ma non era solo. Con lui c’erano altre quattro persone tutte in abiti civili. Rimasero una mezz’ora, poi li vidi uscire con la cassa dov’era stata riposta l’arma. Nessuno sapeva chi fossero. Visto che il nostro compito era finito, ci preparammo a tornare a casa.>>
<<E tutta questa storia a cosa mi serve? Credevo che mi avresti detto da dove è saltata fuori quest’epidemia.>>
<<Infatti te l’ho detto. L’arma che c’era in quel laboratorio. Quella è la causa dell’epidemia.>>
<<Ma è impossibile. Mi hai detto che l’arma è stata recuperata.>>
<<Questo è quello che so, Ale. Non so dirti altro.>>
<<Ma perché mettere l’Italia sotto legge marziale allora? Cosa c’entriamo noi?>>
<<Non so veramente che risponderti. L’unica spiegazione che mi possa venire al momento è che ci possano essere stati dei casi anche qui.>>
<<E non direbbero niente?>>
<<Non so che dirti.>>
<<Secondo me è una grande puttanata>> dissi.
Guardai l’orologio. Erano quasi le 21. Fra poco più di un’ ora sarebbe scattato il coprifuoco. Accompagnai Stefano fino al Comune (dove l’Esercito aveva installato il Quartier Generale) e tornai a casa. Ancora non riuscivo a crederci. Perché tacere una cosa del genere? Non riuscivo a trovare una spiegazione. La chiacchierata con Stefano mi aveva lasciato più dubbi che risposte, come la riunione. Tornai a casa e cenai. Andai a letto molto presto. Ero sconvolto e non volevo che i miei mi vedessero in quello stato. Lo ricordo come se fosse ieri. Non era una giornata che avrei cancellato facilmente dalla mia memoria.
Per tutta la settimana uscì solo lo stretto necessario. Potevamo anche recarci fuori città adesso. Le pattuglie erano state messe solo per assicurarsi che quanta più gente possibile fosse presente alla riunione che si era tenuta. Ma la legge marziale continuò ad essere in vigore. Non ne potevo più, ma dovevo cominciare a farci l’abitudine.

Autore: Alessio Canosa

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