“…e per quanto emerso nel corso di questo processo, chiedo che questo Tribunale non riconosca nessuna attenuante e condanni il Brigadiere Orlando Roberto ad una pena esemplare, riconoscendolo colpevole di abuso di autorità, violenza e lesioni nei confronti della persona da lui tratta in arresto!”
Il ricordo di quella solenne arringa finale, declamata con enfasi dal Dott.Opili, Pubblico Ministero del Tribunale di Rieti,penetra nuovamente, come una lama affilata, nella mente di Nibbio, provocandogli, per l’ennesima volta, un’esplosione incontrollata di odio e rabbia repressa.
Ma è quel senso di impotenza che lo rende furioso oltre ogni limite e,ancora oggi, gli fa digrignare i denti.
In quel momento avrebbe voluto alzarsi di scatto dal banco degli imputati, scavalcare lo scranno dal quale il magistrato pontificava sprezzante l’accusa contro di lui, afferrarlo per la toga e urlargli in faccia tutto il suo disprezzo.
Ma ovviamente non poteva farlo. L’unica cosa che poteva fare era sperare nella clemenza della corte, la quale, pur valutando i suoi eccellenti meriti nel servizio ed i suoi encomi concessigli per essersi distinto in innumerevoli operazioni di polizia, accolse le richieste del magistrato e lo condannò.
Come c’era finito il Brigadiere Orlando, soprannominato Nibbio, davanti ad un Tribunale nei panni di imputato?
I ricordi lo riportano a quella notte di Settembre in cui capeggiava la squadra, appostata nella boscaglia di Amatrice, in attesa che i sequestratori venissero a ritirare il riscatto.
Da due mesi la banda teneva sotto sequestro un ragazzino di 12 anni, figlio di un noto imprenditore. La magistratura, applicando le norme anti-sequestro, aveva bloccato i beni della famiglia e, conseguentemente, pagare l’esorbitante somma richiesta era difficile.
I sequestratori, spazientiti dal ritardo, avevano allora escogitato un sistema per sollecitare i familiari nella raccolta dei fondi. Ma, quei bastardi, avevano attuato il modo più subdolo e atroce per conseguire il loro risultato. Un dito o un orecchio mozzato sarebbe stato più accettabile della nefandezza che concepirono nelle loro menti malate.
Fecero arrivare ai genitori un dvd in cui, col volto coperto da passamontagna, sodomizzavano brutalmente il minore.
“Pagate o lui diventerà per sempre la nostra puttana” era il laconico e freddo messaggio che accompagnava quelle immagini infernali.
“Nibbio!” – gli disse in sala rapporto il Colonnello Furia all’atto di approntare l’operazione – “come sai, dalle intercettazioni ambientali abbiamo scoperto il luogo dove il corriere, incaricato dai genitori, consegnerà i soldi. Dovete solo video-riprendere l’arrivo dei sequestratori, comunicarci tipo e la targa del mezzo e, soprattutto, la direzione che imboccano dopo il recupero della refurtiva. Le altre squadre tenteranno di pedinarli fino al covo”.
Nibbio fece un cenno di assenso. Era teso come una corda di violino. Sapeva che un errore sarebbe stato fatale. Sapeva che bloccare quei pezzi di merda all’atto del recupero dei soldi era inutile e pericoloso. Avrebbe eseguito diligentemente gli ordini del Colonnello.
Purtroppo, a volte, troppo spesso,Dio fa il tifo per i demoni. E quel coglione di Appuntato, in appostamento con Nibbio, si era scordato il cellulare acceso. La suoneria, attivatasi proprio nel momento in cui un ragazzo biondo, giunto a bordo di una Golf nera, stava afferrando il pacco lasciato sul ciglio della strada, rimbombò nella notte, come le trombe del giudizio universale.
Era la fine. Tutto era perduto. Bisognava agire immediatamente o quel bambino non avrebbe avuto scampo.
Nibbio prese la sua decisione. Schizzò fuori dal cespuglio dove era nascosto e si lanciò, come una pantera, sulla sua preda. Afferrò il biondo per i capelli e gli batté ripetutamente la testa sul cofano dell’auto.
Da quel momento cominciò a picchiarlo selvaggiamente come un ossesso. Non gli fece alcuna domanda, lo ritenne inutile. Il bastardo sapeva perfettamente cosa voleva da lui, non c’era tempo per domande retoriche. Con rabbiosa, ma fredda, determinazione gli frantumò il setto nasale, gli lesionò la retina dell’occhio destro, gli spaccò il labbro superiore e, constatato che il biondo, oltre a piangere e implorare, non gli stava ancora dicendo quello che voleva sapere, lo ammanettò al paraurti, gli calò i pantaloni e, afferrato un ramo, glielo ficcò dritto nell’orifizio anale. I componenti della squadra non intervennero, annichiliti, ipnotizzati da quella furia cieca. E Nibbio continuò a spingere con forza quel ramo e l’avrebbe fatto arrivare fino alle viscere del ragazzo se quello non avesse parlato.
Grazie alla sua confessione e alla sua totale collaborazione, dopo poche ore, le Forze dell’Ordine fecero irruzione nel covo e liberarono l’ostaggio.
Qualche giorno dopo a Nibbio fu notificato, in contemporanea, l’encomio solenne e… l’informazione di garanzia.
“La brutalità delle forze di polizia è il male assoluto” – gli disse serio il Dott. Opili, guardandolo con disprezzo dall’altro lato della scrivania – “e io non le concederò alcuna attenuante. Impiegherò tutto il mio tempo e le mie forze affinché lei venga condannato. Farò di lei un esempio per tutti i suoi colleghi”.
E così arrivò la condanna, ma il Brigadiere non la scontò perchè… dopo qualche settimana, arrivò anche l’apocalisse dei morti viventi.
E ora Nibbio si trova all’interno del centro commerciale e capeggia una squadra di Carabinieri con il compito di reperire generi alimentari da trasportare all’interno del Comando Provinciale di Rieti, dove il Colonnello Furia ha allestito una base operativa e sta organizzando la sopravvivenza e la resistenza.
Ed è proprio tra gli scaffali dei prodotti a lunga conservazione, mentre riempie il suo zaino di scatolette arraffate velocemente, che i ricordi tornano dolorosamente a tormentarlo e scatenano in lui un vortice impazzito di sensazioni laceranti.
Succede lì, all’improvviso… nel momento esatto in cui lo vede!
Il dott.Opili, barcollante, gli si avvicina minaccioso con il chiaro intento di abbrancarlo e sbranarlo.
La morte che si è impadronita di lui e ne determina i movimenti, non ha modificato il suo atteggiamento. In quegli occhi lattiginosi, Nibbio riconosce la stessa determinata volontà di distruggerlo, di rovinarlo, di farne un “esempio per tutti i colleghi”, di non concedergli nessuna attenuante.
“Da dove cazzo è uscito sto zombie?” – chiede il giovane Carabiniere Scelto Parisi nel mentre gli punta l’M12, prendendo con calma la mira per fargli saltare le cervella.
“Fermo!” – dice Nibbio afferrando la canna dell’arma imbracciata dal collega e abbassandola lentamente.
“Dottor Opili, che sorpresa trovarla qui” – afferma ironicamente Nibbio a denti stretti, lasciando che il cadavere ambulante arrivi a pochi passi da lui. “Lei non può capire che piacere che ho nel rivederla” dice il Brigadiere sferrando, all’improvviso, un poderoso calcio allo sterno del morto che lo manda disteso a terra. “Ora non è lei che amministra la giustizia, ma sono io. E la mia giustizia non le piacerà” – sentenzia Nibbio esplodendo due colpi, in rapida successione, dalla sua pistola Beretta cal.9 parabellum, che fanno esplodere le articolazioni di entrambe le ginocchia del magistrato. Lo zombie cerca inutilmente di alzarsi, annaspando disperatamente nel pavimento e scivolando nel suo stesso sangue nero e raggrumato.
“La giustizia, oggi, si esercita sulla strada, dottore, e non con il culo sprofondato sulla poltrona, avvolto dal caldo del suo ufficio, come ha fatto lei fino a ieri” – infierisce Nibbio sparando nuovamente e disintegrando le articolazioni di entrambi i gomiti del Pubblico Ministero.
“Sono io oggi che la giudico, dottore, e la condanno senza appello” – continua Nibbio scegliendo dalla mensola una motosega e avviandone inesorabilmente il motore.
“E farò di lei un esempio. Un esempio della mala-giustizia che ha costretto gli sbirri come me a temere più le persone come lei che i delinquenti, che ci ha indotto a non intervenire, a distogliere lo sguardo di fronte alle sopraffazioni, alle violenze, alle estorsioni, alle rapine, per timore di essere giudicati e condannati da magistrati del suo stesso rango” – prosegue Nibbio avvicinando le lame della motosega in azione alla giugulare dell’ex magistrato.
“Si, lo so, lei ha applicato la legge, anche quando la legge proteggeva le belve assetate di sangue e condannava quelli come me che tentavano di debellarne il proliferare con metodi illegali. Ma questa sarebbe un’attenuante, e io oggi non le concedo alcuna attenuante, così come lei fece con me” – afferma Nibbio segando il collo del Dottor Opili, decapitandolo, incurante degli schizzi di sangue nero che imbrattano la sua divisa.
“Per lei le vittime dei reati altro non erano che fascicoli processuali depositati sulla sua scrivania” – continua Nibbio afferrando per i capelli il capo decapitato del pubblico ministero.
“Non ha mai percepito il dolore delle vittime, non si è mai immedesimato nelle loro sofferenze. E per questo io oggi la condanno”. E nel dire ciò impala la testa del magistrato su un asta adiacente la cassa del supermercato. Gli occhi del dottor Opili continuano a guardare con odio il Brigadiere e le mascelle continuano a scattare inutilmente nel tentativo di cibarsi di carne viva. Nibbio sa che la mente del dottor Opili rimarrà lucida per l’eternità e la fame, che ne alimenta la vita, resterà per sempre, disperatamente, insoddisfatta.
“Io sono la legge”- conclude il Brigadiere Orlando guardando fisso negli occhi il giudice “la legge del più forte, del più determinato, dell’uomo spietato che agisce senza più regole assurde, senza più compromessi, senza più ipocrisie”.
Detto ciò il Brigadiere raccoglie il suo zaino e si avvia lentamente verso l’uscita.
“Brigadiere, ma lo lasciamo così?” – chiede perplesso il Carabiniere Parisi.
“Si. Non gli concediamo nessuna attenuante” – risponde Nibbio senza neanche voltarsi.
L’aria tersa del mattino lo investe all’uscita del centro commerciale. Il Brigadiere respira a pieni polmoni l’odore di decomposizione, di bruciato e di polvere da sparo che aleggia nell’aria e sale rapidamente a bordo del mezzo. Con un cenno ordina all’autista di avviare il motore. La missione è compiuta, possono fare ritorno.
Durante il viaggio, senza che nessuno lo veda, Nibbio sorride malignamente e sussurra: “Amo questa apocalisse!”
Autore: Nicola Furia
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